Miele: Live and Let Die

Miele non è certo il primo film a parlare di certi temi, ma certo quello di Valeria Golino è un esordio che si fa notare e che va ad aggiungersi al novero dei film sulla ‘dolce morte’ da non scartare per qualità o qualunquismo…
E’ sempre un merito, per un film, soprattutto se incentrato su un tema controverso, l’essere capace di raggiungere più persone e offrire loro spunti non ideologici di riflessione. Ancora di più se il film è di un regista esordiente.
Certo, in questo caso, considerare Valeria Golino un’esordiente dopo 30 anni di carriera come attrice, ma l’insidia di realizzare un racconto retorico, banale e buonista, come anche crudo oltre il necessario o artatamente toccante era forte, a prescindere dall’esperienza raccolta. E invece, si riesce a parlare di assistenza al suicidio (più che dolce morte, o ‘semplicemente’ Eutanasia) con una misura che nasce dall’empatia.
Qualche leggerezza, o qualche scelta potrà essere non condivisibile, ma si conceda licenza all’artista e alla sua sensibilità, anche in considerazione del grande impegno che traspare dalle scene, forti di uno studio delle location e una selezione musicale quasi maniacali, da vera esordiente.
Un gran lavoro, evidente anche nella selezione e rilettura fatta a partire dal libro originario – A nome tuo (Einaudi) – reso diverso dalla sua derivazione, in punti e maniere anche sostanziali. A partire dalle caratterizzazioni dei due personaggi principali, ben sostenuti dalle interpretazioni di Jasmine Trinca e Carlo Cecchi, qui strumenti di vita e non di morte, in cerca di speranza e non manifesti di disperazione.
Una positività di fondo che potrà trovare chi, come la regista, in partenza, si avvicinerà al tema senza pregiudizi o dettami (spesso solo formalmente) etici, e senza cercare una provocazione che non c’è, abbracciando invece la possibilità di cui è permeato.