Parasite: I poveri alla guerra
Il coreano Bong Joon-ho dirige Parasite, commedia nera che ha conquistato la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes. In sala dal 7 novembre.
Una commedia nera che si annida nel solco delle differenze sociali, se non fosse che il solco sembra più una voragine nel nuovo film di Bong Joon-ho, quel Parasite che, dopo aver conquistato la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, si appresta a esordire nelle sale del Belpaese. Si tratta di un piccolo ritorno alle origini per il cineasta coreano, che negli ultimi due lungometraggi, Snowpiercer e Okja, aveva optato per attori hollywoodiani e lingua inglese.
Nei sobborghi della metropoli la famiglia Kim, pure molto unita, conduce una vita miserevole. Schiacciata in un seminterrato sempre a rischio allagamenti, e aggrappata a un sussidio di disoccupazione, è costretta a tirare avanti architettandosi una serie di espedienti. Fino a quando l’occasione della vita non capita tra le mani del figlio più giovane. Chiamato a insegnare inglese alla figlia di una coppia facoltosa e un po’ ingenua, il ragazzo riesce a poco a poco a sistemare anche la sorella, il padre e la madre, rispettivamente con il ruolo di insegnante di arte-terapia per il secondo figlio, di autista e di colf.
Ma in questa commedia, che col proseguire dei minuti non esita a tingersi di nero, a respirare con il ritmo cadenzato di un thriller, non tutto è come sembra. E nella cantina della splendida villa della coppia benestante si cela un segreto. Un segreto che segna una spaccatura sempre più netta tra le classi sociali, mentre la sceneggiatura scritta dal regista insieme ad Han Jin-won ci accompagna tra le trincee meschine di una guerra tra poveri, combattuta all’ombra dell’inconsapevolezza e dei nasi turati di chi vive nel privilegio. Una guerra che, oltre a comportare il consueto spargimento di sangue, non sembra fornire alcuna reale soluzione, ma solo alimentare amare utopie.
L’alternanza di toni è brillante, l’incalzare degli eventi è inesorabile. Bong Joon-ho, che ha dichiarato più volte di essere un grande fan di Psycho, finisce per recitare con grande ispirazione il copione hitchcockiano, mostrando di aver appreso il meglio di quello che Hollywood può offrire, pur tenendo ben presente il dinamismo mutuato forse da un certo cinema, lo scuola di Hong Kong prima di tutto, più vicino, anche solo per attinenza geografica. Ma Parasite non è solo l’angoscia di un thriller, è anche la risata dell’espediente, è una riflessione sulla differenza e l’indifferenza, è la tragedia che si cela dietro la maschera della commedia. E allo stesso tempo, dietro i toni di una narrazione mainstream e un titolo ingannevole, che potrebbe richiamare le formule truci dell’horror, si nasconde uno dei film più riusciti di questo decennio ormai agli sgoccioli.
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