David Nicholls presenta Patrick Melrose: “Così ho ‘fatto a pezzi’ il romanzo di Edward St. Aubyn ”

Se nel romanzo “Un giorno” la giornata da cui tutto partiva era una, quella del 15 luglio 1988, in Patrick Melrose i giorni da raccontare per lo scrittore inglese David Nicholls, sceneggiatore e creatore della serie, sono diventati cinque e sono quelli della travagliata vita dell’omonimo protagonista, Patrick Melrose. Ispirata al ciclo di romanzi di Edward St. Aubyn e diretta da Edward Berger, la serie che andrà in onda dal 9 luglio su Sky Atlantic è composta da cinque episodi; ciascuno seguirà da vicino le vicende di Patrick (Benedict Cumberbatch), un tossicodipendente della Londra bene, che combatte i mostri di una violenza subìta da piccolo e tenuta nascosta. Accanto a Cumberbatch, anche Hugo Weaving, il terribile e temibile padre, e Jennifer Jason Leigh, la madre assente di Patrick. Ecco cosa ci ha raccontato Nicholls alla presentazione della serie alla stampa a Milano.
Com’è stato da scrittore lavorare sul materiale di un collega? Durante la scrittura della sceneggiatura si è confrontato con Edward St. Aubyn?
È difficile avere a che fare con il lavoro di qualcun altro, specialmente se è uno scrittore che apprezzi. Quando ho cominciato, ho incontrato i produttori e gli ho subito detto cosa avrei voluto introdurre di nuovo nella serie. Poi ho incontrato Edward a pranzo ed è stato molto disponibile. Quando ci siamo salutati mi ha detto che potevo chiamarlo in qualsiasi momento oppure non sentirlo per tutto il tempo del mio lavoro sulla sceneggiatura. Dipendeva da me. Alla fine ho deciso di non contattarlo e così è stato per cinque anni. Penso sia stata la scelta migliore: adattare un romanzo per la televisione è un po’ “fare a pezzi” il libro. E credo non sia facile per uno scrittore vedere la propria creatura cambiare. Quando ci siamo rivisti, però, Edward era contento del risultato. Gli attori invece, soprattutto Benedict Cumberbatch, ma anche Hugo Weaving e Jennifer Jason Leigh, hanno voluto incontrare St. Aubyn per lavorare meglio sui loro personaggi.
C’è molta crudeltà in questa serie, soprattutto la crudeltà dello stare da soli. Cos’è la crudeltà per lei?
Il nostro mondo conosce la crudeltà in varie forme. Per me però, nel mio lavoro di scrittore, la crudeltà in sé non è interessante se presa da sola. In una storia di redenzione come questa invece diventa essenziale per il racconto e va esplorata. Nelle cinque ore di questa serie per esempio, ha sul presente delle ripercussioni che affondano le proprie radici in eventi di trenta anni prima. Quindi in questo caso la crudeltà ha motivo di esistere.
C’è secondo lei un legame tra crudeltà e il benessere economico di una classe sociale che si sta moralmente disintegrando?
Certamente. Una cosa che mi sento di dire però è che compassione e crudeltà coesistono in tutte le classi sociali, anche in quella benestante. Sicuramente però nel background di Patrick Melrose alcuni aspetti tipici della sua classe sociale emergono maggiormente: c’è molta falsità, ad esempio. E anche nei libri da cui è tratta la serie emerge forte la satira intorno a quel mondo.
La miniserie è composta da cinque episodi, ognuno tratto da un romanzo. La affascina l’idea di raccontare la storia dei suoi personaggi attraverso un numero limitato di eventi?
Sì, per me una narrazione del genere è molto più affascinante. Volutamente, tra un episodio e l’altro non spieghiamo nulla allo spettatore: ci sono dei buchi temporali. Penso che sia più interessante per chi guarda mettere da solo insieme i pezzi di questo puzzle. Per complicare le cose, l’arco temporale della serie non è fisso: si passa da un giorno, a due e poi a quattro anni dopo. Credo che sia una narrazione più coinvolgente.
La serie affronta il tema di una violenza terribile. Da autore quali responsabilità ha dovuto affrontare nel per raccontarla a un pubblico televisivo?
Da subito sono stato consapevole della responsabilità e della sensibilità che avrei dovuto usare per descrivere queste scene, prima di tutto perché sarebbero state girate con persone vere che, pur essendo attori, avrebbero comunque vissuto una condizione di disagio. E poi c’era anche il problema di quanto far vedere al pubblico. Alla fine, nella serie le scene violente sono meno esplicite rispetto ai romanzi: ho pensato che non ci fosse il bisogno di far vedere per far capire. Abbiamo usato immagini, suoni che evocassero quella violenza, come ad esempio un gecko sulle pareti, delle porte che si chiudono. Sono felice di essere riuscito a dare il giusto peso a queste scene senza usare immagini crude.
C’è chi dice che una grande sceneggiatura sia resa tale dalla presenza di un grande cattivo. Questa serie TV un grande cattivo ce l’ha ed è interpretato da Hugo Weaving, che impersona il padre di Patrick. Com’è stato portare sul piccolo schermo David Melrose?
È difficile rispondere alla domanda senza spoilerare. Prima di tutto nella serie abbiamo ribaltato l’ordine temporale dei primi due romanzi. David Melrose, a parte qualche apparizione nel primo episodio, compare in tutta la sua personalità veramente solo dalla seconda puntata in poi. È un uomo vizioso, riprovevole, ma allo stesso tempo attraente, verso il quale c’è addirittura qualche tentativo di perdono. C’è una frase nell’ultimo episodio che ritengo molto significativa: ‘A volte le persone che odiamo di più sono quelle che dobbiamo capire di più’ e questo è un po’ il tema di tutta la serie.
di Ana Maria Fella