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    La Cena di Natale: il cliché è servito

    Ad un anno da Io che amo solo te, si ritorna nella splendida Polignano per ritrovare i personaggi dei romanzi di Luca Bianchini alle prese con La cena di Natale. La commedia interpretata da Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Maria Pia Calzone e Michele Placido e diretta da Marco Ponti sarà nelle nostre sale dal 24 novembre.

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    Vi ricordate di Damiano e Chiara? E di Ninella e don Mimì? Ad un anno dall’uscita in sala di Io che amo solo te, i personaggi creati da Luca Bianchini tornano al cinema con La cena di Natale, a quanto pare inevitabile sequel della pellicola di Marco Ponti del 2015.
    Con una veste molto più corale rispetto al primo film, la nuova pellicola di Ponti, tratta dal romanzo omonimo del suo caro amico Bianchini, vede le alterne vicende dei vari personaggi succedersi sullo schermo, il tutto mentre si prepara il cenone della vigilia di Natale. Matilde (Antonella Attili) riceve da don Mimì un anello con un enorme smeraldo e decide di organizzare una festa per condividere con tutti la sua gioia, ma soprattutto per fare dispetto a Ninella. Al cenone “alla barese” della vigilia parteciperà tutta la famiglia: Chiara (Laura Chiatti), in dolce attesa, che è ancora vittima delle bugie di Damiano (Riccardo Scamarcio); Orlando (Eugenio Franceschini) che continua a cadere nelle relazioni sbagliate e non si accorge di avere un ammiratore segreto; Ninella (Maria Pia Calzone) e don Mimì (Michele Placido) che devono fare i conti con il loro passato e affrontare la realtà del loro rapporto. Il tutto condito da zie snob che vengono da Milano (Veronica Pivetti), amiche lesbiche che vogliono avere un bambino (Eva Riccobono) e sorelle minori alle prime esperienze con il sesso (Angela Semerano).

    Sotto l’albero di Natale, è servita una serie di cliché che, con il loro carico di banalità, non riescono nemmeno a strappare a forza un sorriso dallo spettatore. Se nella prima pellicola c’era qualche elemento, seppur piccolo, che alzava un po’ i toni, qui il tutto è sacrificato in nome del commerciale più spicciolo, facendo forza sui nomi di quei personaggi che sono diventati un marchio di successo tra gli scaffali dei best-seller delle librerie. Le pessime interpretazioni del cast arrivano solo a disegnare macchiette e non personaggi, mentre alcune scelte di regia (come l’incontro in piazza tra Ninella e Matilde in chiave western) sembrano più dettate dalla logica dello “strafare” invece che da quella del “colpo di genio”, risultando anche piuttosto fuori luogo.

    Nonostante un’annata davvero interessante per la commedia italiana, La cena di Natale smorza gli entusiasmi, dimostrando per l’ennesima volta che gran parte del nostro cinema vuole ancora continuare a giocare sul banale, sul cliché, sulla macchietta. E come per Io che amo solo te, anche qui alla fine resta solo l’amarezza per tutti quei talenti che si sono visti chiudere porte e portoni in faccia a favore di qualcosa che è sinonimo di incasso assicurato, ma non di qualità. Serve a qualcuno un cinema che non rischia?

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    7 minuti: lavoro e dignità

    Presentato nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma 2016, 7 minuti è il nuovo film diretto da Michele Placido. Un cast tutto al femminile ci conduce all’interno di una fabbrica e ci mostra le paure e le difficoltà delle sue operaie, costrette a prendere una decisione molto importante. In sala dal 3 novembre.

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    Come nel suo film precedente, La scelta del 2015, anche in 7 minuti, il nuovo film di Michele Placido presentato durante l’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, al centro della narrazione vi è una decisione molto importante da prendere. Undici operaie di una fabbrica tessile devono decidere se accondiscendere o meno alla proposta avanzata dalla nuova proprietà: ridurre la pausa pranzo di 7 minuti. Una scelta apparentemente semplice, ma portatrice di dissapori che esplodono in un feroce “tutte contro tutte”.

    Ispirato a fatti realmente accaduti in Francia nel 2012, 7 minuti è tratto dall’omonimo testo teatrale scritto da Stefano Massini (qui anche sceneggiatore insieme a Placido e a Toni Trupia) e portato in scena da Alessandro Gassman. Placido non rinnega le origini teatrali del testo, ad iniziare dall’ambientazione unica, ma ne sottolinea anche l’essenza ricorrendo all’interpretazione di Ottavia Piccolo, unica attrice del cast ad aver preso parte anche allo spettacolo teatrale. Rivestendo il tutto con una nuova veste, quella cinematografica, appunto, il regista, con le sue macchine da presa, sta letteralmente addosso alle sue protagoniste, ne rivela le debolezze, i caratteri, le sfumature e le paure. A rendergli vita facile è anche il solido cast, nel quale spiccano Ottavia Piccolo, la ‘debuttante’ Fiorella Mannoia e la passionaria Maria Nazionale, anche se nessuna toglie spazi alle altre, ma godono tutte di una certa visibilità.

    È il ricatto che mette in moto 7 minuti: cosa si è disposti a fare pur di lavorare? Pur di mantenere il proprio lavoro? Queste le domande che assillano le protagoniste del film e le varie risposte che vengono fuori sono l’eco della miriade di voci che compongono una società ogni giorno impegnata in una devastante lotta per la sopravvivenza. Pur soffrendo di un certo tono didascalico, soprattutto nel presentare i suoi personaggi, 7 minuti, così come hanno fatto altri due titoli italiani della Selezione Ufficiale di questa Festa del Cinema di Roma, Maria per Roma e Sole cuore amore, ha il merito di portare sul grande schermo un tema non facile da raccontare, quello del lavoro declinato al femminile, e lo fa attraverso un racconto che mantiene alta l’attenzione dello spettatore, bombardandolo di tematiche e spunti di riflessione di importanza vitale.

    Combattendo contro il tempo, le protagoniste di Placido sono portatrici di quel senso di sfiducia verso chi ci dovrebbe rappresentare e demarcano quella differenza tra una vecchia generazione, che ha vissuto battaglie per far valere i propri diritti, e una generazione più giovane, che davanti ad un mondo frenetico e agitato, non può seguire idee o ideologie, ma pensare solo a sopravvivere, scendendo a compromessi che vanno a discapito di qualche diritto. E della propria dignità.
    Fondamentale, quindi, risulta essere la discussione, il ragionamento collettivo e partecipato su quello che non è il futuro del singolo, ma dell’intera comunità. Il problema sta nel cercare di capire quanti di noi siano disposti a sedersi intorno ad un tavolo.

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    Michele Placido, dalla Francia col Polar

    Il Cecchino dovrebbe arrivare nelle nostre sale nella Primavera del 2013, ma Michele Placido già parla di prossimi progetti e suggerisce…
    Ancora un cattivo, ancora una regia, come mai in Francia?
    Essendo io un professionista, sono stato chiamato, molto semplicemente, da Fabio Conversi che dalla Francia distribuisce spesso film italiani e ha costruito questa operazione con una delle maggiori case di distribuzione, Canal Plus. Così stavolta ho girato un film del quale non ho scritto un rigo, nel bene o nel male. Tutto nasce dal successo avuto da Romanzo Criminale in Francia, ovviamente, successo che ha attratto anche attori come Auteil o Kassovitz, che ho trovato sul set, ma che ho diretto, questo sì, assolutamente in base alle mie sensazioni.
    Ma il contatto con i cugini è più ampio…
    Avevo altre propste da distributori francesi, ma ho scelto questo progetto che sentivo più vicino, e amavo. Anche per la memoria di certi autori e attori della mia giovinezza. Da Lino Ventura a Audiard padre o Alain Delon… riferimenti comuni, evidentemente, anche ai due giovani sceneggiatori, che hanno suggerito il mio nome e che erano sempre molto attenti sul set. Possiamo dire che il film è metà degli sceneggiatori e metà del regista, che poi deve adattarsi per rispettare le necessità produttive per le quali si viene scelti.
    C’è una morale nel film? Come dicevamo, non sarà un caso se i cattivi sono sempre così centrali nei suoi film…
    In questo caso, un po’ era tutto scritto già nella sceneggiatura. Ma, in fondo, il tema ha radici antiche… In questo momento io sto facendo Re Lear a teatro, e anche lì la parte oscura dell’uomo viene fuori, soprattutto in alcuni personaggi, che starebbero benissimo in un film di Tarantino, come Edmond o le figlie.
    Noi vogliamo cercare i buoni, mantenere la speranza, ma in un Polar forse si è più aderenti alla realtà che nella commedia, che non la rispecchia… basta guardare il mondo per vederlo.
    Io personalmente mi trovo bene con questa tipologia di film; particolarmente in questo caso, in cui – più che parlare di morale o di aspetti politici – ho trovato interessante il tema degli ex militari francesi e occidentali che tornati dalle zone di guerra finiscono con il diventare rapinatori…
    Si trova bene a fare il regista migrante? O è solo verso la Francia…?
    L’Italia, negli ultimi anni è stata teatro di grandi storie, molto interessanti, soprattutto se pensiamo alla cronaca giudiziaria e politica e ai collegamenti tra stato e mafia; temi dei quali non si vede abbastanza nel nostro cinema. E invece dovrebbe essere quasi un dovere per noi. Se partisse un progetto così, io e tanti altri italiani ci metteremmo volentieri in gioco. ma sembra esserci una sorta di autocensura dalle nostre parti. Se ci si desse la possibilità, io resterei molto volentieri qui a lavorare. Magari, senza essere timidi e parlando chiaro, su un film su dell’Utri, che negli Usa avrebbero già fatto. Credo sarebbe un soggetto interessante, lui come altri messi sotto osservazione da qualche anno e arrivati tanto a sedere in Parlamento quanto a essere tacciati di disonestà, a prescindere dalle colpe, ma in quanto personaggio, anche per esplorare le motivazioni che l’anno messo sotto i riflettori e portato all’attenzione dei giudici.
    Più in generale, è attraverso la cultura che va fatta questa analisi, proprio per non restare nell’ambiguità. Per dare un segnale, etico, civile, per mostrare la voglia di ricominciare e per dare un segnale ai giovani.
    E invece cosa farà ora?
    Una storia d’amore, tratta da un testo teatrale del 1916 di Pirandello. La storia dell’amore tra una maestra del conservatorio e un signore che lavora in un negozio di alimentari, di delicatessen, ma una vicenda comunque con una sua violenza di base, proprio per il lato oscuro della donna, che dopo esser stata violentata scopre di essere incinta e, nel suo delirio femminile, decide di tenere il bambino e farlo accettare al marito. Dovrebbe essere ambientato in una città francese, forse a Lione – che amo, ha una gastronomia eccezionale ed è una città molto colta – ma comunque in Francia, dove ci sono più soldi. Io sarò solo regista, ma la produzione ha chiesto la Bejo come attrice… Speriamo.
    Mi piacerebbe però realizzare in francia anche del cinema italiano; lì sono molto attenti al nostro cinema, a quello di Garrone, di Moretti, di Sorrentino. Perché non iniziare a programmare una cinematografia italo-francese? Prendetelo come un invito, da parte mia…

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    Tulpa

    Tulpa

    TULPA – I DEMONI DEL DESIDERIO
    (Tulpa)
    GENERE: Horror
    ANNO: 2013
    USCITA: 30/05/2013
    DURATA: 82′
    NAZIONALITA‘: Italia
    REGIA: Federico Zampaglione
    CAST: Claudia Gerini, Michele Placido, Michela Cescon, Ivan Franek, Nuot Arquint, Crisula Stafida
    PRODUZIONE: Italian Dreams Factory
    DISTRIBUZIONE: AI Entertainment
    TRAMA: Lisa Boeri è una donna in carriera che conduce una doppia vita: di giorno manager d’assalto e di notte frequentatrice di un misterioso locale ispirato al buddismo tibetano e al culto del Tulpa, dove si pratica sesso con sconosciuti come forma di liberazione dalle ansie del vivere. Tra le ombre inquietanti del quartiere dell’Eur di Roma si sviluppa una catena di orribili omicidi che all’improvviso arriva a sconvolgere la vita di Lisa.

    RECENSIONE:
    VOTO:

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    Il Cecchino

    cecchino 1 maggio

    IL CECCHINO
    (Le Guetteur)
    GENERE: Noir, Azione, Drammatico
    ANNO: 2012
    USCITA: 01/05/2013
    DURATA: 89′
    NAZIONALITA‘: Italia, Belgio, Francia
    REGIA: Michele Placido
    CAST: Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Francis Renaud, Nicolas Briançon, Jerome Pouly
    DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
    TRAMA: Un commissario di polizia di Parigi si mette sulle tracce di un letale cecchino, sfuggito a una rapina con agguato. Le tracce però portano lontano e, sulla base delle informazioni ricevute, la polizia guidata da Mattei – intercettando la banda di rapinatori di banche armate, responsabili di una sequela di furti negli ultimi due anni – finisce con l’aprire porte che lo stesso capo investigatore avrebbe preferito tenere chiuse.
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    Festival di Roma 2012 – Fuori concorso

    RECENSIONE: Mero esecutore (?)
    VOTO: 3

    TRAILER

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  • Il cecchino: Mero esecutore (?)

    Il viaggio di Michele Placido continua con Il Cecchino. Partito da Roma Sud, dopo il passaggio milanese, eccolo nella patria del Polar; anche se stavolta il film è meno ‘sentito’.
    VOTO: 3

    Ancora Placido, ancora Noir. Il viaggio del regista italiano continua. Partito da Roma Sud, dopo il passaggio milanese, eccolo approdare nella Francia, patria del Polar (termine nato dalla crasi di poliziesco e, appunto, noir), con la – sanissima e encomiabile – presunzione di dire la sua su un genere che negli ultimi anni sta trovando nuova linfa e credito anche nelle nostre sale. Oneri e onori sono, è dichiarato, da dividere con gli sceneggiatori esordienti comunque, anche se – senza esser nazionalisti noi, per una volta – sembrerebbe proprio di dover ascrivere a loro i difetti più riconoscibili di questo ‘Guetteur’.
    Dopo un prologo funzionale, ottima occasione per accordare il pubblico sul tono del film sapientemente, per altro, visto che non sarà quello l’unico tono del film), le zoppie della sceneggiatura iniziano già ad apparire sin dalla scena iniziale, un agguato ad opera di poliziotti un po’ troppo attendisti ed impreparati.
    Ferimenti, catture, intrighi, rivelazioni, personaggi a sorpresa e confronti fanno la trama successiva, a tratti avvincente, per altri versi un po’ confusa. Lo sviluppo in parallelo di diverse linee narrative e l’intenzione di seguire più personaggi è sempre interessante, ma comporta dei rischi. E i nodi vengono al pettine.
    L’idea alla base, come detto, è forse la parte migliore, compresa la originale proposta nella offerta di genere, che potrebbe funzionare meglio tanto in francia patria del polar, quanto in italia dove i thriller sembrano raccogliere più accoliti. Purtroppo i singoli succitati elementi si muovono in una cornice che continua ad ampliarsi, per l’intera durata del film, quando più quando meno, la sensazione è che la trattazione separata ed alternata dei vari soggetti non sia stata realizzata con egual perizia o equilibrio. Si oscilla tra film d’autore, polar classico, thriller, fiction tv con una fotografia (soprattutto) e una colonna sonora molto curate e all’avanguardia, le quali però non compensano certe debolezze e non alzano il voto finale che resta quel che è, pur con dispiacere, ma che non affossa la validità del prodotto finito o la sua capacità di avvincere il pubblico.

     

    NB: La recensione si riferisce alla versione presentata al Festival di Roma, più lunga e intricata di quella – poi rimontata – che esce in sala.

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    Razzabastarda

    RAZZABASTARDA_LOCANDINA

    RAZZA BASTARDA
    GENERE: Drammatico
    ANNO: 2013
    USCITA: 18/04/2013
    DURATA: 95′
    NAZIONALITA’: Italia
    REGIA: Alessandro Gassman
    CAST: Alessandro Gassman, Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Madalina Ghenea, Michele Placido
    DISTRIBUZIONE: Moviemax
    TRAMA: Roman è un migrante rumeno giunto in Italia trent’anni fa. La sua esistenza non è riuscita a districarsi dai giri dello spaccio di cocaina e dagli ambienti della piccola delinquenza. Ma Roman ha un sogno a cui non è disposto a rinunciare per niente al mondo: dare a suo figlio Nicu, che ha allevato senza madre, un’esistenza diversa e migliore. Ma può davvero un ragazzo che ha respirato fin dal suo primo vagito quell’ambiente e quelle dinamiche desiderare di essere qualcosa di diverso?
    RECENSIONE:
    VOTO:
    3,5
    TRAILER

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