Qualcuno da amare: Some things are better left unsaid

Con due ambienti, quattro personaggi e tanti dialoghi: ecco Qualcuno da amare, il nuovo film di Abbas Kiarostami, che non sembra aver bisogno di un inizio preciso e di una conclusione chiara per creare una connessione tra storia e spettatori.
VOTO: 3.5
Kiarostami, spesso, richiede molta pazienza, fede quasi, in questo caso sarà bene invece dimostrare un certo intuito. Il “Like someone to love” presentato al 65esimo Festival di Cannes dal regista iraniano, con cast (e ambientazione) giapponese è un film che non va sottovalutato, né seguito distrattamente. Attenzione, infatti, ad adagiarsi sulla ripetitività e limitatezza delle scene, degli ambienti e dei personaggi, ché si rischierebbe di farsi sfuggire dettagli utili. Quanto meno alla decrittazione della storia.
Come detto, molto, forse troppo, è omesso, lasciato all’interpretazione e alla fantasia del pubblico. Libero come non mai di ‘farsi il proprio film’. Una costruzione ambigua, fatta di non detti e non mostrati, permette fraintendimenti utili a colmare i vuoti che lo sviluppo volutamente lascia.
Kiarostami è sempre lui: tempi dilatati, lunghi dialoghi, campi e controcampi, camera fissa ad attendere l’azione; e due protagonisti perfetti – in un cast più che esiguo – intorno ai quali ruota l’intero film.
Ma al di là delle linee e delle connessioni tra i vari capitoli e snodi dell’azione (si fa per dire), quel che va riconosciuto in una storia anche banale di relazioni apparenti e sognate (una giovane universitaria arrotonda facendo la escort all’insaputa del suo ragazzo e della famiglia lasciata nella provincia lontana) è quel che passa attraverso il cuore, più che per le capacità deduttive di ciascuno.
La solitudine la fa da padrona. Dettata dal destino, da antichi lutti, dal bisogno, dalla vergogna, è triste la venatura di questa commedia sentimentale. Molto triste. Perfino straziante, all’ascoltare i messaggi lasciati in segreteria della anziana in attesa sotto la statua davanti alla stazione di Tokyo…