Le streghe di Salem: Troppo sangue al fuoco

Le streghe di Salem di Rob Zombie confermano il gusto macabro e visionario del musicista, sempre più a suo agio con i topoi del genere, che mostra di maneggiare in maniera originale e rispettosa… anche se non sempre equilibrata
VOTO: 3
Che piaccia o meno, non si può negare una indubbia qualità al musicista e regista Rob Zombie: adora cambiare. Più nel cinema, che nella musica (ma attendiamo smentite), e pur restando fondamentalmente fedele e lagato al genere più amato: l’horror.
Forse, semmai, dopo l’exploit dei primi due film e l’ottimo doppio omaggio al classico Halloween – e trascurando volutamente l’animato SuperBeasto – in questo ‘Lord of Salem’ si è fatto un po’ troppo prendere dal progetto integrato di uscire contemporaneamente con un film, un libro (del film) e un disco.
Meno originale di altre sue prove, queste Streghe di Salem raccoglie una quantità di suggestioni e impressioni dalle fonti più disparate (ci sono Melies e Alice Cooper, Polanski e Kubrick, la Pop Art e l’espressionismo tedesco) e le mescola insieme non sempre con egual equilibrio e senso.
La storia che si sviluppa intorno a una splendida, coriacea e carismatica Sheri Moon è di quelle pù classiche; o meglio, unisce due classici: il tema della maledizione e quello dell’anticristo. Forse troppa carne al fuoco, nonostante sia sviluppata attraverso divertenti variazioni sull’ulteriore tema della ‘Musica satanica’. Soprattutto per l’uso fatto di splendide canzoni dei Velvet Underground nei momenti topici del film.
Per il resto, molta confusione e qualche rozzezza. Voluta, sicuramente; visto quanto Zombie adora la grossolanità dell’horror di altri tempi, declinata in maniera più capace e creativa di tanti contemporanei convinti di rendere omaggi al genere solo presentando film mal fotografati o similia.
Le parti più blasfeme (sempre che superino il visto della censura italiana) e caleidoscopiche sono sicuramente quelle che restano in mente, peccato per la creatura simil-Scrondo che potrebbe strappare inopportuni sorrisi al pubblico nostrano.