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Venezia 75 – Suspiria: Tra Kubrik e Fassbinder

Venezia 75 – Suspiria: Tra Kubrik e Fassbinder

Luca Guadagnino porta in concorso al festival la sua personalissima rivisitazione del film di Dario Argento. Il risultato è un’opera maestosa e impervia ricca di rimandi e sottotesti.

 

Cosa c’è di più terrificante, spaventoso, maestoso dell’amore? In quanti modi l’amore può influire sulle nostre vite, in quante maniere si declina l’amore nella vita di ogni giorno? E la vita, l’intera esistenza, non è forse solo una danza nella quale un partner cerca sempre di “condurre” l’altro dove vuole lui?

Senza ridurre tutto ad un semplice gioco delle coppie, ma indagandone la natura e le pieghe più nascoste, oscure, terribili, Luca Guadagnino porta avanti il suo discorso sull’amore e su come possa essere utilizzato per manipolare e legarlo ad un insano bisogno di controllo: dal lontano (per risultati e intenzioni) Melissa P., fino a Io Sono L’Amore, A BIgger Splash, Chiamami Col Tuo Nome, il cinema di questo geniale -ex- enfant prodige del cinema prima italiano ora internazionale ha sempre messo al centro della sua narrazione l’amore, declinandolo ora secondo il noir, ora secondo la saga famigliare, oggi attraverso l’horror. Ma sempre e comunque con il suo gusto quasi barocco, eccessivo, decadente e straripante: i suoi film, quando deragliano, lo fanno per eccesso, per una quantità abnorme di cose, emozioni, dettagli, persone e personaggi, storie e finali, che esondano dalla linea retta della trama. Suspiria è un progetto antico, atteso al varco da quella nuova genìa virtuale, inutile quanto chiassosa, degli haters, ed è ovviamente il remake, anzi, una nuova rilettura della storia già raccontata e immaginata da Dario Argento e Daria Nicolodi: Susie Banner, una ragazza americana, arriva in Germania a Berlino per iscriversi nella scuola di danza Markos, diretta e frequentata da sole donne, in realtà sulfureo covo di streghe. Guadagnino riprende quella storia, di per sé scarna e poco dettagliata, che il maestro Argento utilizzò per una sua personalissima coreografia dell’orrore senza logica se non quella del puro piacere filmico ed estetico; la riprende, la metabolizza, la mastica e la rielabora esasperandone aspetti, scarnificandola da eccessi, incicciandola con particolari, sottotrame, indirizzi metatestuali, iperboli filosofiche e politiche, arricchendola insomma di tanto di quel materiale da creare un vero e proprio monstrum.

Suspiria creerà un vero e proprio caso, sarà amato e odiato, sfonderà ogni limite e confine, tanto pesante, monolitico, incredibilmente pregno dell’autore e delle sue ossessioni e di una visionarietà impressionante da non poter e non dover passare inosservato, travolgendo come una slavina tutto e tutti. Scenografie dense di art noveau, cura maniacale per dettagli e inquadrature, ma soprattutto background narrativi e psicologici restituiscono una messa in scena rigogliosa e labirintica, ma sempre e assolutamente affascinante, mentre Tilda Swinton e Dakota Jhonson si giocano il ruolo di una carriera, la prima musa ispiratrice del regista, la seconda nuovo oggetto erotico multimediale e polimorfico: Suspiria gioca con lo spettatore più scafato come con quello più innocente, travolgendo la visione con un sovraccarico sensoriale aiutato dalla superba colonna sonora di Tom Yorke e da un apparato iconografico e scenico impressionante.

Guadagnino, dal canto suo, si diverte con insert politici e sociali: perché love is everywhere, e che cos’è il terrorismo se non una forma di amore distorto per un ideale? Cos’è una congrega se non un rapporto intimo malato e diabolico? Cos’è la relazione madre/figlia se non l’amore supremo? C’è Rainer Werner Fassbinder, ma c’è anche Kubrick; c’è ovviamente Argento, ma c’è su tutto una forma di cinema purissima che si nutre solio di sé stessa e di una messa in scena fastosa magniloquente, ora spenta da luci fredde e ambienti congelati, ora esaltata da soluzioni cromatiche pericolosamente kitsch ma inequivocabilmente efficaci. Visioni, sogni, incubi e deliri; psicanalisi, politica, la banda Baader-Meinohf, Berlino Est e Berlino Ovest, il nazismo e il Male, la danza e Pina Bausch, l’orrore e il gran guignol: Suspiria 2018 è tutto questo e anche di più, storto e sghembo quando sembra non sapere che direzione prendere, esorbitante nel suo mettere in piazza anche il superfluo (e 152’ sono in effetti troppi), ma geniale per come riesce a mettere tutto insieme in un’opera maestosa e impervia, tremenda nel suo essere una scossa sottocutanea, horror senza paura e film d’amore senza amore. Ma perfetta, quando trova la sua quadratura in quell’ultima immagine che, dopo spargimenti di sangue e budella, stringe e sfuma su un vecchio cuore cancellato.

 

di GianLorenzo Franzì

 

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La redazione

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