Sono un pirata, sono un signore: No more Julio

Più comico che commedia, a tratti, Sono un pirata, sono un signore di Edoardo Tartaglia manca di equilibrio e di ritmo e la simpatia ‘naturale’ non basta a sostenerlo.
VOTO: 1,5
Manca solo Julio Iglesias tra le foreste e le spiagge di questo quarto film di Eduardo Tartaglia, nato dallo sconcerto provato – come dichiara il regista – davanti a una surreale intervista ai familiari delle vittime di un rapimento di pirati. Quello che mette in scena lui stesso nel film, cercando di mantenere lo stesso spirito e di offrire un racconto paradossale al pubblico, che rischia invece di uscire proprio sconcertato alla fine dell’avventura.
Dalla mescolanza di piani e di argomenti, in primis. Dall’insistere su sprazzi di malinconia al declinare improvviso verso la battuta facile, per poi tentare la via dei (buoni) sentimenti. Ci sono anche i pregiudizi italici, i nostri malcostumi, i riferimenti a una contingenza a tratti drammatica e una napoletanità strabordante, sempre tra stigmatizzazione e sfruttamento… anche se propenderemmo più per il secondo visto che da qui vengono alcuni dei pochi momenti da salvare e che è evidente una tendenza autocitazionista (che si diverte a rievocare il titolo del proprio film d’esordio: Il mare, non c’è paragone).
Il legame con la tradizione è evidente, meno chiaro a quale ci si voglia riferire tra commedia italiana moderna, musicarello regionale, sceneggiato televisivo (per interpreti e riferimenti). Si parte da una sorta di Natale in Crociera e si finisce con uno sguardo ai moderni Selvaggi, in mezzo però – ci spiace dirlo – non c’è molto, e quel poco appare ancor più gracile a causa di una inutile dilatazione che davvero nuoce alle singole scene. Tutto sommato, il respiro è ridotto, come si conferma nel cast, diseguale nella caratterizzazione e soprattutto nella resa.