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La notte del giudizio: Io sp(a)riamo che me la cavo

La notte del giudizio: Io sp(a)riamo che me la cavo

Il nuovo fanta-thriller con Ethan Hawke, in uscita l’1 agosto con Universal, racconta un futuro distopico dove per una notte all’anno ogni crimine è permesso. E tra metafore e riflessioni sulla violenza spunta quello che in America definiscono “home invasion movie”.
2stelle

Ci sono film che hanno l’obiettivo di tenerti incollato alla poltrona, ci sono film che hanno l’obiettivo di farti riflettere. La notte del giudizio, ultima fatica di Ethan Hawke e del regista-sceneggiatore James DeMonaco – già insieme nel 2009 per l’indie thriller Staten Island – ha l’ambizioso obiettivo di tenerti incollato alla poltrona e farti riflettere.
Per riuscire in questa sorta di tredicesima fatica di Ercole, dove sono naufragate le ambizioni di registi anche più titolati, DeMonaco ci porta in  un futuro non lontano (2020) dove per una notte all’anno ogni crimine è depenalizzato. Scelta imposta da una nuova America post crisi allo scopo di isolare in 12 ore una violenza dilagante, additata come causa principale anche di questioni apparentemente distinte come povertà e malessere sociale.

La premessa – più fantasociale che fantascientifica – richiama le tematiche tanto care allo scrittore inglese James G. Ballard e riesce senz’altro a cogliere nel segno. Sarà impossibile per lo spettatore non farsi domande, specie sulla condotta da tenere in una notte del genere. E di sicuro il meccanismo alla base del film è ancora più efficace, in un momento storico di particolare incertezza, quando a giorni alterni qualche leader politico si autoproclama ultimo argine contro la marea della violenza (avvertiamo però che nel mondo distopico de La notte del giudizio la casta non è un bersaglio valido).

Ma una traccia astuta non basta da sola a garantire uno svolgimento all’altezza. La prima parte, in realtà, fila via piuttosto liscia, tanto che ogni minimo elemento (da una conversazione di circostanza con l’innocua vicina, fino ai sotterfugi di una figlia adolescente e del suo fidanzato) sembra carico di tensione oltre che foriero di cattive notizie. Non mancano anche elementi visivi efficaci, come la banda di ragazzi per bene guidati da un giovanotto (l’australiano Rhys Wakefield) che sfoggia un sorriso luciferino, sia con la maschera che senza.

Ma è nel prosieguo del film che emergono i difetti più evidenti. Da un lato certe decisioni prese dai personaggi (da Hawke fino alla moglie Lena Headey, già vista nella serie ormai cult Trono di spade) hanno più il sapore del pretesto che non di una scelta motivata e razionale, come se fossero anche loro complici più che vittime dello sceneggiatore. Dall’altro la trama del film sconfina, forse troppo presto, in quello che in America definiscono un “home invasion movie”, e questo si traduce in una certa ridondanza (e ripetitività) di sparatorie che, come se non bastasse, hanno il difetto di risolversi quasi tutte grazie all’intervento di un qualche deus ex machina.

É comunque probabile che regista e produttori (tra cui compare il nome di Michael Bay) avranno tempo di riflettere meglio su certi errori, impegnati come saranno a contare i soldi intascati grazie al film. Le prime stime parlano di 76 milioni incassati al botteghino, a fronte di una spesa di tre.

Marcello Lembo

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