Federico Zampaglione, ricomincio da Tulpa
Al terzo film Federico Zampaglione conquista la menzione speciale del Noir in Festival di Courmayeur e parla di Tulpa, omaggio al cinema che ama.
Sei riuscito a mostrare una parte di Roma, l’Eur, in maniera decisamente inusuale e molto affascinante. Da dove viene?
Era una vita che cercavo di fare un giallo all’Eur; è un posto sospeso nel tempo, ha un po’ un sapore anni ’70 che è rimasto intatto nelle sue geometrie. Quasi metafisiche.Sono uffici pieni di gente che lavora, uffici, un aspetto lontano da quello dalla Roma che vediamo nei film, quella di Prati, del Colosseo. All’Eur invece ci sono grandi spazi. E di sera diventa una zona molto torbida. C’è poca gente in giro per strada. C’è una desolazione inquietante, ti dà l’impressione che ci sia una vita sotterranea. Anche gli ambienti sono rimasti a quell’epoca. Sembra una scenografia di quel tempo. In qualche modo sentivo che il fatto di realizzarlo lì avrebbe avuto un gusto vintage, visivamente mi attirava molto.
Un equilibrio tra passato e moderno costante nel film…
Ho usato delle tecniche di regia che sono ovviamente molto diverse da quelle che si usavano negli anni 70. Qui c’è molta macchina a mano per esempio; un linguaggio cinematrogafico più sporco e frenetico. Allora semmai le ‘sporcature’ erano magari più la zoommate, ma per il resto erano movimenti lenti. Io ho cercato di fare un film più dinamico invece. Soprattutto grazie ad alcune tecniche degli effetti speciali mai usate prima. Una è quella, creata da due giovani molto bravi, Leonardo Cruciano e Bruno Albi Marini, che è un mix tra analogico e digitale e che abbiamo usato quando il coltello del killer perfora dal basso la testa dell’uomo, all’inizio del film. Abbiamo messo dei marker verdi all’interno della bocca e poi abbiamo sincronizzato il movimento del coltello che veniva dal basso con la ricostruzione della bocca. Ci abbiamo messo sei mesi per sperimentare questi effetti, ma la verosimiglianza data da queste tecniche è davvero unica.
Come mai Claudia?
Senza di lei il film non esisterebbe. Da subito avevo detto a Dardano Sacchetti che avrei voluto fare un giallo pieno di omicidi e di elementi erotici forti e con claudia come ‘Scream Queen’. La sua fisionomia me la ricordava. Ma tutto il film è in mano alle donne, gli uomini si muovono come pedine. Intorno a lei ho costruito il film giorno per giorno.
Ora non so se rifarei un gialo, è il genere più difficile di tutti secondo me. L’horror è una cazzata al confronto, basta stabilire delle cordinate; il giallo invece è pieno di atmosfere che cambiano sempre.
Avete lavorato molto prima, quindi, ho siete andati cambiando via via?
Era tutto in sceneggiatura. Poi semmai il difficile è miscelare gli elementi e trovare il giusto equilibrio. Ma siamo partiti dall’idea che fosse un film anche un po’ pazzo, come era caratteristico negli anni 70.
A me il thriller non piace, mi annoia quando ci sono troppe indagini o vedo scene del delitto con il commissario che si dilunga. Cambio canale. Anche perché non mi piace vedere gli omicidi quando sono ormai successi. Arrivi sulla scena del delitto a fatto avvenuto, invece a me piace vedere svilupparsi il rapporto tra vittima e carnefice. Certo, anche qui devi stare al gioco.
C’è qualcosa di ‘fisicamente’ tuo nel film, per esempio le mani guantate del killer?
No, ci avevo pensato, ma in quella scena ero io l’operatore di macchina. Per cui non potevo farlo. Avevo provato a farlo, mettendo un altro a fare l’operatore, ma non ce la facevo. Mi era presa una crisi isterica ed era tutto bloccato. Era come dire a qualcuno che suona al posto tuo che nota fare con la chitarra. E così me lo sono girato io…
E ora?
Penso di tornare a dedicarmi alla musica per un po’. Tutto questo stress e questi delitti mi hanno danneggiato il cervello… per inventare tutti questi omicidi, a un certo punto anche sotto l’ombrellone venivo aggredito da immagini allucinanti. Spero per un po’ che mi vengano in mente solo note e accordi.
Un modo per scappare o porterai un po’ di questa esperienza anche nella musica?
In effetti ci sarà una canzone dei Tiromancino che và un po’ sull’horror. Vediamo che cosa succede.
Fare regista è veramente un mestiere maledetto. Lo faccio solo perché sono un appassionato del genere, altrimenti non lo farei MAI! Ogni volta che sto sul set mi chiedo chi me l’abbia fatto fare. Finisce che ti odiano tutti. Anche perché quando lavoro sono ossessionato, dico sempre le stesse cose.
La musica è tutta un’altra cosa, stai per cavoli tuoi e vai avanti fino a sera. Invece fare il regista è tremendo, vengono tutti da te a chiederti e tu devi inventarti delle risposte. Non va mai bene niente, è sempre tardi… Tremendo! Finché mi faranno fare questi film, li farò. Poi altrimenti mi darò solo alla musica.
Tanto ossessionato da essere insopportabile? Come sei sul set e con i tuoi collaboratori?
Si, assolutamente si. Anche perché il genere richiede di essere meticolosi e magari per una stronzata sono capace di iniziare a ulrlare come un un pazzo, come per esempio per una scena in cui mi ero incaponito su un guanto. Il problema era che quando l’assassino uccideva si scopriva un pezzettino di polso, di pelle. Io volevo vedere solo il guanto. Ho dovuto costruire un guanto che si allungava per impedire che si vedesse qualcosa. Ma, in fondo, questo è un genere per feticisti.